Nei prossimi anni, una pioggia di dati provenienti dallo spazio ci travolgerà. Entro il 2030, dalle migliaia di piccole antenne dello Square Kilometer Array Observatory dislocate in Australia e Sudafrica, arriveranno ben 300 petabyte di dati all’anno sull’origine delle stelle e l’evoluzione delle galassie. Già a partire dai prossimi mesi, l’Osservatorio Vera C. Rubin incrementerà i rilevamenti di supernovae da centinaia a milioni all’anno. Inoltre, le numerose telecamere puntate verso il cielo invieranno una quantità crescente di immagini, mentre i telescopi a infrarossi registreranno sempre più avvistamenti di pianeti lontani. La mole di dati sarà tale che servirebbero milioni di computer portatili per conservarli tutti e permettere alla comunità scientifica di analizzarli adeguatamente. Qui entra in gioco un alleato potente: l’intelligenza artificiale. Pur non conoscendo lo spazio meglio di noi, l’AI è straordinaria nella gestione dei dati.
Un nuovo metodo per l’analisi dei dati astronomici
Mentre ci preoccupiamo delle tempeste di dati che ci attendono, non ci rendiamo conto di essere già sommersi da informazioni difficili da gestire. “È da anni che selezioniamo in modo sommario quali dati conservare. Ora, grazie all’AI, possiamo farlo con maggiore precisione” afferma Stefano Cavuoti dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Napoli. Cavuoti, insieme alla ricercatrice Demetra De Cicco dell’Università di Napoli Federico II, ha sviluppato un metodo innovativo che utilizza l’intelligenza artificiale per migliorare lo studio delle curve di luce. “Utilizziamo il transfer learning, una tecnica che sfrutta un modello addestrato su un compito specifico come punto di partenza per un altro compito” spiega Cavuoti. Questo approccio consente di ottenere un insieme di dati ampio e dettagliato, permettendo l’identificazione di nuove “epoche problematiche”,” informazioni preziose che in passato sono state scartate a causa di metodi di selezione meno accurati. Con entusiasmo, Cavuoti esprime il desiderio di scoprire “cose mai viste”.
L’AI al servizio dei satelliti
“In passato, quando i dati venivano analizzati manualmente, erano gestibili, ma con l’aumento delle informazioni, la situazione è cambiata. Ora, grazie all’AI, possiamo di nuovo gestire efficacemente questi dati” racconta Cavuoti. L’intelligenza artificiale non solo mantiene promesse di innovazione e velocità, ma in astronomia offre anche una rappresentazione multidimensionale dell’universo, superando le limitazioni delle rappresentazioni bidimensionali. Cavuoti immagina un futuro in cui l’AI deciderà rapidamente dove focalizzare i telescopi, ottimizzando così l’uso di questi strumenti preziosi. L’AI potrebbe anche selezionare direttamente in orbita quali dati conservare sui satelliti, evitando il rischio di esaurire lo spazio di memoria e perdendo opportunità di nuove scoperte.
Formazione per gli astronomi del futuro
Ogni innovazione genera scetticismo e l’intelligenza artificiale non fa eccezione. Si teme l’effetto “black box” e i bias. Tuttavia, Cavuoti minimizza queste preoccupazioni: “Con alcuni accorgimenti, possiamo capire come un modello AI ragiona e opera. I rischi emergono quando usiamo l’AI per compiti diversi da quelli per cui è stata progettata”. Per quanto riguarda i bias, sono sempre stati parte del gioco in astronomia. “È fondamentale che la statistica sia robusta e che la ricerca continui” sottolinea Cavuoti.
Gli allarmi lanciati da chi critica l’AI guardando lo spazio sono, secondo Cavuoti, infondati. “Il vero pericolo siamo noi e il nostro uso dell’AI. Senza un’adeguata formazione, rischiamo di trasmettere un uso errato di questa tecnologia, causando danni a lungo termine”. Cavuoti conclude con un appello urgente: “È necessario introdurre l’intelligenza artificiale nelle università dove si studia astronomia. Anche chi non intende utilizzarla deve averne una conoscenza di base. In futuro, sarà essenziale collaborare tra esperti di AI e astronomi, e per questo servono persone in grado di comprendere entrambi i linguaggi. Formare queste nuove figure è urgente e indispensabile per continuare a studiare lo spazio”.