La storia dell’allenatore Brian Clough è una lezione universale sul successo e sul declino di persone e attività
Il mondo del calcio è fatto di sogni, passioni, emozioni incontenibili e altrettanto incontenibili delusioni. Ed è fatto di uomini, con le loro ambizioni e le loro debolezze, le loro piccole meschinità e le loro geniali intuizioni. Ma tutti all’inizio partono con un sogno nel cassetto: quello di poter riuscire, un giorno, a raggiungere la gloria. Qualcuno la gloria la raggiunge davvero, anche se spesso è destinata a spegnersi nel giro di pochi anni, per poi lasciare traccia soltanto negli archivi del passato. Molti altri, la maggior parte, rimangono personaggi oscuri e infine accantonano le loro ambizioni giovanili per diventare comuni mestieranti. Ci sono poi i personaggi giganteschi, pochissimi, la cui storia assume contorni così straordinari da spingere a riflessioni che vanno molto al di là dell’ambito sportivo. Uno di questi è il leggendario allenatore britannico Brian Clough, un maestro di innovazione.
L’eccezionale parabola di Clough ha ispirato molte opere, tra cui certamente consigliamo il libro “Provided You Don’t Kiss Me” scritto dal giornalista Duncan Hamilton, e il bellissimo film del 2009 “Il Maledetto United”, con Michael Sheen.
Clough non è interessante solo per il suo (colossale) ciclo di successi, ma lo è forse ancora di più guardando alle vicende legate al suo declino.
I tre anni in cui avvenne l’impossibile
Per chi non ricorda chi sia stato Brian Clough, che ha guidato il Nottingham Forest per 18 anni dal 1975 al 1993, può servire un breve ripasso. Per fare un paragone, tutti certamente ricordano la storica impresa del 2016 del Leicester City di Claudio Ranieri, la “squadra dei miracoli” che, fresca di promozione, sfidò nel 2016 i giganti della Premier League vincendo il primo scudetto della sua storia.
Ecco, nel 1972 Clough fece sostanzialmente la stessa cosa. Prima guidò il piccolo Derby County, squadra espressione delle classi operaie e proletarie delle Midlands inglesi, dalla serie B alla promozione in massima serie, e subito dopo lo portò alla sua prima vittoria del Campionato Inglese. Non solo, portò persino il Derby County alla semifinale di Coppa dei Campioni (come allora veniva chiamata la Champions League), dove fu eliminato di misura dalla Juventus.
Tutto ciò sembra eccezionale? Lo è, ma oggi di solito Clough non viene particolarmente ricordato per questo successo; e questo solo perché poco dopo compì una serie di altre imprese così straordinarie da offuscare quella precedente.
Dopo la sfortunata parentesi di 44 giorni al Leeds United (la vicenda raccontata nel film), Clough prese, assieme al suo fidato “vice” Peter Taylor (altra figura leggendaria) la guida del Nottingham Forest, un’altra piccola squadra simbolo delle Midlands operaie. Con questa nuova squadra lui prima si ripete, e dopo va oltre. Promozione dalla serie B alla serie A (1977), vittoria del Campionato Inglese direttamente l’anno successivo (1978), vittoria della Coppa dei Campioni (1979). L’anno dopo il Nottingham non riuscì a bissare la vittoria in campionato ma venne ammesso di diritto, perché vincitore dell’edizione precedente, alla Coppa dei Campioni che vinse ancora, per la seconda volta consecutiva (1980).
Brian Clough, l’uomo che sapeva andare oltre
In soli tre anni, il Nottingham di Clough passa dal nulla a essere la squadra più forte d’Europa, un volo da dare le vertigini e mai più ripetuto da nessuno. Tuttora il Nottingham Forest è l’unica squadra ad avere vinto più Champions League (2) che campionati (1). Come ha fatto Clough a riuscirci? La risposta è l’innovazione.
Negli anni settanta il calcio era molto diverso da come lo conosciamo oggi, molto più fisico e duro, e specialmente il calcio inglese. I falli pesanti e le scorrettezze in campo erano all’ordine del giorno, ed è solo per un caso che gli infortuni gravissimi siano stati tutto sommato pochi. Per conseguenza, il ritmo delle partite era più lento. Gli allenatori di calcio non erano personaggi di grido, e la stampa non si interessava particolarmente a loro. Brian Clough fu l’artefice non tanto di una piccola innovazione, ma di una autentica rivoluzione.
Clough odiava il gioco scorretto, anche per motivi personali. Prima di essere allenatore fu un calciatore, e anche un ottimo bomber, con 197 reti in 213 partite con il Middlesbrough. Durante un duro scontro di gioco però si infortunò al punto da dover rinunciare alla carriera. Non faceva praticare alle sue squadre il gioco duro, ma il suo calcio si concentrava tutto sulla velocità, sulla tecnica e sul ritmo. Amava apparire, adorava i giornalisti e i giornalisti adoravano lui, perché era sempre pronto alle polemiche, alle provocazioni e ai colpi di teatro, complice anche il suo carattere molto eccentrico e burrascoso.
Diventò di fatto il primo allenatore superstar, odiato o amato senza mezze misure. Anche questa fu una innovazione. Non esitava ad accusare gli arbitri, si interessava alla politica almeno quanto al calcio, e in un’occasione guidò persino una rivolta della squadra, costringendo il presidente alle dimissioni. Assumere Clough era sempre un rischio, ma con il suo eccezionale carisma ispirava i calciatori ad andare oltre il limite delle loro possibilità, fino a compiere l’impossibile.
Le ragioni che portano al tramonto
Come l’innovazione è stata il segreto del trionfo di Clough, la mancanza di innovazione è stata la causa della sua decadenza. Tutti i cicli di vittorie, prima o poi, si concludono. E così si concluse anche la leggenda del Nottingham Forest. Ma la conclusione di Clough fu molto amara.
Dopo la seconda Coppa dei Campioni, Clough rimase ancora per parecchi anni al Nottingham, dove ormai era diventato una istituzione intoccabile. Ma, sul finire della sua carriera, non era più lo stesso. Si aggravarono alcune gravi condizioni che covava segretamente da molti anni, come la depressione e la tendenza all’alcol. Questo rendeva il suo carattere ancora più difficile, al limite dell’odioso per i calciatori e lo staff. La sua aggressività aumentava, come i suoi scatti d’ira e la violenza verbale.
Non si aggiornava più. Mentre lui rimaneva ancorato alle sue vecchie idee, il calcio cambiava di nuovo profondamente. L’uomo che sapeva andare oltre, non voleva più guardare oltre. Preparava le gare quasi controvoglia e con un approccio ormai anacronistico, le prestazioni diventavano sempre più inconsistenti. Fino alla retrocessione e all’inevitabile allontanamento dalla squadra nel 1993, che mise anche fine alla sua carriera da allenatore. Morì nel 2004.
Oggì la città di Nottingham è adorna di statue che raffigurano le sue due più grandi leggende: Robin Hood e Brian Clough.
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