L’isola mortale: il Pacific Trash Vortex e la minaccia globale della plastica
Nel vasto spazio oceanico che separa il Nordamerica dall’Asia, tra il 135° e il 155° meridiano Ovest e il 35° e il 42° parallelo Nord, si trova un’isola inquietante. Quest’isola non compare su nessuna carta geografica, ma ha una superficie pari a 33 volte quella dell’Italia. Questo sinistro regno di morte, alimentato dalle maree e dalle correnti oceaniche, è in costante crescita e movimento. Si tratta di un gigantesco accumulo di rifiuti galleggianti, stimato tra le 80.000 e le 100.000 tonnellate di plastica. Conosciuto come Pacific Trash Vortex, è la più grande e famosa isola di plastica (quasi un continente), ma non è l’unica: esistono altre quattro grandi isole di plastica in tutti gli oceani.
Più a sud, al largo di Cile e Perù, si trova la South Pacific Garbage Patch, grande “solo” otto volte l’Italia. Le suddette isole non raccolgono i rifiuti di noi europei, poiché l’Europa ha una “propria” isola di immondizia: l’Isola di Plastica dell’Artico, situata al largo della Norvegia. Le altre due grandi isole di plastica si trovano nell’Oceano Indiano e nell’Atlantico del Sud.
In queste enormi distese di spazzatura, regna la morte. Pesci, mammiferi e uccelli marini muoiono asfissiati tra i rifiuti, oppure scambiano la plastica per cibo e ne restano avvelenati. Gli scienziati stimano che, continuando di questo passo, entro il 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesci. Ma come siamo arrivati a questo punto? L’umanità sembra incapace di vivere senza plastica, ma è davvero in grado di convivere con essa?
NOTA: I dati e le statistiche riportati nel presente articolo sono tratti dal documentario La Plastica della docuserie Storia Contemporanea in Pillole, disponibile su Netflix
Rivoluzione o dipendenza? L’invenzione che ha segnato un secolo
La scoperta della plastica fu accolta come una delle grandi rivoluzioni dell’umanità (un po’ come oggi viene vista l’intelligenza artificiale). Nel 1907 il chimico belga Leo Baekeland, ispirandosi alla composizione delle “plastiche naturali” come l’ambra e i gusci di tartaruga (sì, sono di plastica) riuscì a creare in laboratorio la bakelite. Questo fu il primo materiale plastico termoindurente, capace cioè di indurirsi con il calore, e incontrò un successo straordinario. Per l’occasione Baekeland coniò per la prima volta il termine “plastica” derivato dal greco “plastikos”, che significa “malleabile”. Questo materiale sintetico, praticamente eterno, poteva essere modellato in qualsiasi forma immaginabile e utilizzato per costruire ogni tipo di oggetto, risolvendo così il problema del reperimento di diverse materie prime per vari usi specifici.
Nel 1912 fu inventato il PVC, nel 1913 il cellophane, e nel 1935 il nylon. La Seconda Guerra Mondiale accelerò enormemente la produzione industriale di materiali plastici, indispensabili per mezzi militari e attrezzature belliche in un momento di grande scarsità di materie prime metalliche tra le forze Alleate. Dagli anni ’50 iniziò il boom della plastica per uso civile, trasformando il XX secolo nel Secolo della Plastica.
Nel 1965 apparve per la prima volta l’oggetto destinato a diventare uno dei simboli della plastica: il sacchetto di plastica. Oggi ne utilizziamo 500 miliardi all’anno, ossia un milione al minuto. Nel 1969, gli astronauti Armstrong e Aldrin piantarono la prima bandiera sulla Luna: realizzata in nylon. Nel 1975, la Coca Cola e la Pepsi sostituirono le bottiglie di vetro con quelle in PET (polietilene tereftalato) inaugurando l’era della bottiglia di plastica, che divide col sacchetto il ruolo di prodotto-simbolo.
Da quel momento, le nostre vite sono state come plasmate nella plastica. Le nostre case esistono grazie alla plastica: impianti idraulici, arredi, illuminazione, tutto è plastica. Così anche i televisori, gli impianti audio, gli utensili da cucina, la maggior parte dei nostri vestiti e, naturalmente, i computer e gli smartphone. La medicina stessa dipende dalla plastica: molti componenti delle sale operatorie sono fatti di plastica, così come le protesi sintetiche, i pacemaker, i defibrillatori, gli apparecchi acustici e le siringhe usa e getta per diabetici. Le fibbie in plastica delle cinture di sicurezza riducono il tasso di mortalità stradale del 45%. Si può dire che la plastica ci salvi letteralmente la vita. Peccato che stia ammazzando il pianeta.
L’Apocalisse di Plastica
Fu solo a partire dagli anni ottanta che ci rendemmo conto del disastro. La nostra dipendenza dagli oggetti di plastica ha causato una delle peggiori catastrofi ambientali che il mondo abbia mai affrontato. Come potevamo pensare di liberarci di qualcosa che è praticamente indistruttibile, ma allo stesso tempo così conveniente da gettarlo via senza pensarci due volte? I ricercatori stimano che occorrano 450 anni perché una bottiglia di plastica si decomponga, ma questa è solo un’ipotesi. Non ne siamo davvero certi.
La plastica non si decompone come gli altri materiali in natura, perché è un prodotto dell’uomo; oggi gran parte della plastica deriva dal petrolio, quindi non è biodegradabile. La plastica è formata da monomeri di propilene, uniti tra loro da saldi legami carbonio-carbonio, che formano i famosi e ultraresistenti polimeri. Non esiste nulla di simile in natura, e per questo motivo la natura non sa come decomporla. Di conseguenza, ogni oggetto di plastica prodotto in passato esiste ancora oggi. Questo è il motivo per cui, un giorno, potremmo essere in grado di raggiungere gli Stati Uniti a piedi camminando sui mucchi di spazzatura nell’oceano.
C’è un’altra prospettiva quantomeno inquietante: sembra che noi stessi stiamo diventando plastica. Una ricerca del 2018 ha trovato microplastiche nei rifiuti organici umani. Non è chiaro da dove provengano, poiché siamo in contatto con la plastica praticamente sempre, dalle bottiglie d’acqua ai vestiti che indossiamo. Non si sa ancora se questo sia pericoloso dal punto di vista medico, ma l’inquinamento da plastica è così diffuso che potremmo ingerire l’equivalente di una carta di credito ogni settimana.
La plastica influisce su tutto ciò che facciamo e migliora le nostre vite, questo è vero; tuttavia, il nostro fallimento nella gestione dei rifiuti plastici sta risultando fatale.
Riciclo, Ricerca, Cultura: le soluzioni per salvare un pianeta
Quindi è ormai troppo tardi? Forse no; dalla metà degli anni ottanta l’umanità ha finalmente aperto gli occhi e il riciclo ha iniziato a prendere piede seriamente. Il riciclo della plastica offre numerosi vantaggi: una bottiglia riciclata fa risparmiare energia sufficiente per far funzionare una lampadina da 60 watt per tre ore. Riciclando 19 bottiglie di plastica, si ottengono abbastanza fibre per realizzare una maglietta. Riciclando una tonnellata di plastica, si risparmiano circa 4000 litri di gasolio. Inoltre, produrre plastica da materiale riciclato richiede l’88% di energia in meno rispetto alla produzione da materie prime.
Purtroppo, il riciclaggio della plastica non funziona ancora come dovrebbe: nel mondo si ricicla solo il 19% dei rifiuti plastici, rendendo necessarie anche altre soluzioni, e maggiore impegno e consapevolezza. Alcune multinazionali stanno iniziando a produrre esclusivamente con plastica 100% riciclata, seguendo il lodevole esempio di molte piccole e medie imprese. Gli scienziati sono da tempo al lavoro per creare agenti chimici o enzimi in grado di mangiare la plastica.
Inoltre si stanno conducendo ricerche molto interessanti per produrre plastica non più dal petrolio, ma dagli oli delle piante, il che permetterebbe di renderla biodegradabile. Sperimentazioni in questo senso vengono fatte con le alghe, con la colza, con la canna da zucchero e con la cannabis, per produrre un nuovo tipo di plastica naturale.
Il mondo sta lavorando per rimediare a un gravissimo problema, che con un po’ di calcolo poteva essere probabilmente evitato; tutti ora sono chiamati a fare la loro parte, e nessuno di noi può fare eccezione se vogliamo continuare ad avere un pianeta.
La crisi della plastica? Adesso tocca a te
La politica e i governi hanno la responsabilità maggiore, ma non possiamo basarci esclusivamente sulla loro lungimiranza. Come cittadini, siamo tutti responsabili in qualche modo dell’inquinamento da plastica. Come sostenitori del Bene Comune, siamo chiamati a entrare in azione; ci sono molti modi in cui possiamo farlo, e tutti fanno la differenza.
Innanzitutto, guardiamoci nel cuore e riconosciamo che la plastica è un vizio, e come tutti i vizi si può combattere e superare. Ridurre l’uso della plastica nelle molte occasioni in cui non è strettamente necessaria è possibile, ed è doveroso.
Come? Evitando i prodotti monouso! Scegliamo sempre articoli riutilizzabili per le nostre necessità quotidiane: bottiglie d’acqua, tazze da caffè, sacchetti della spesa e posate. Scopriremo piacevoli sorprese, come il fatto che i sacchetti di stoffa sono molto più resistenti per fare la spesa, e che l’acqua in bottiglie di vetro ha un sapore molto più buono.
Impariamo ad acquistare in modo consapevole, scegliendo prodotti con meno imballaggi in plastica o imballaggi realizzati con materiali biodegradabili. Incentiviamo tutte le Aziende Plastic-Free e quelle che producono con materiali riciclati, preferendole per i nostri acquisti.
Non dimentichiamoci di riciclare correttamente e di ricordare (educatamente) ai nostri parenti e amici di fare lo stesso quando se ne dimenticano.
Facendo tutto ciò, contribuirai a costruire un mondo migliore? Forse. Di certo sarai essenziale per salvare il mondo che già abbiamo. Feel Important.