Pochi Lavoratori o Poche Offerte di Lavoro? Ecco Come Colmare il “Mismatch” che Frena lo Sviluppo dell’Italia
Per “mismatch” si intende il mancato incontro tra la domanda di lavoro e le offerte sul mercato, un fenomeno che riguarda quasi la metà delle posizioni aperte in Italia. Oggi infatti, stando agli ultimi dati pubblicati da Unioncamere, addirittura il 47,8% delle aziende non riesce a trovare lavoratori; questo nonostante una disoccupazione stabile al 7,2%, con tanti giovani (uno su cinque) che non trovano un impiego. Puntare il dito contro le esigenze delle nuove generazioni -accusate spesso a torto di essere troppo “schizzinose”- non aiuta ad affrontare con serietà la complessità della questione. Per colmare questo divario servono invece degli sforzi a più livelli e riforme strutturali, a partire dagli enti di formazione.
La ricerca sul mismatch tra domanda e offerte di lavoro
“La domanda di lavoro nelle imprese” è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere con Anpal, che viene aggiornato ogni mese ed è scaricabile a questo link. Esploso durante la pandemia di Covid, il 47,8% di difficoltà di reperimento è un dato si avvicina ai livelli più alti raggiunti dal nostro Paese. L’Italia sotto questo profilo è a ogni modo allineata ad altri Paesi sviluppati, anche loro alle prese con questo fenomeno.
Le conseguenze negative del mancato incontro tra lavoratori e aziende
Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro ha diverse conseguenze negative che possono influenzare sia i lavoratori che le imprese, oltre a impattare l’economia nel suo complesso, vediamo quali.
Aumento della disoccupazione strutturale
Quando c’è un mismatch significativo tra le competenze offerte dai lavoratori e quelle richieste dalle aziende, si verifica un aumento della disoccupazione strutturale. Questo tipo di disoccupazione si manifesta quando esistono differenze persistenti tra le qualifiche dei lavoratori disponibili e le necessità del mercato del lavoro, rendendo più difficile per i lavoratori trovare impieghi adeguati alle loro competenze. Questo fenomeno si è aggravato dalla rapida evoluzione tecnologica degli ultimi anni: le competenze richieste sono infatti cambiate più velocemente di quanto i lavoratori siano riusciti ad adattarsi, facendo schizzare la percentuale di difficoltà di reperimento proprio nei Paesi che hanno più beneficiato di queste innovazioni.
Depressione salariale e sottoccupazione
Un altro effetto del mismatch è la tendenza alla depressone salariale e alla sottoccupazione, dove i lavoratori sono impiegati in ruoli che non sfruttano pienamente le loro competenze o esperienze, spesso con retribuzioni inferiori rispetto a quelle che potrebbero ottenere in posizioni più adatte. Questo non solo riduce il potenziale di guadagno dei lavoratori ma può anche portare a una diminuzione della motivazione e della soddisfazione lavorativa, influenzando negativamente la produttività. In Italia il cosiddetto “indice di produttività” da molti lustri fatica a mantenere i livelli europei (qui i dati Istat), ed è quindi un indicatore che certo non possiamo permetterci di ignorare.
Riduzione della produttività e dell’innovazione
A livello aziendale e macroeconomico, un significativo disallineamento tra domanda e offerta di lavoro porta quindi a una riduzione della produttività generale. In questo report del Boston Consulting Group viene appunto dimostrata e misurata la correlazione tra mismatch e produttività individuale media nei diversi Paesi. Questo perché le imprese che faticano a trovare lavoratori con le competenze necessarie sono costrette a dover operare sotto il loro potenziale produttivo. Inoltre la mancanza di un incontro ottimale tra competenze e posti di lavoro frena i processi di innovazione, in quanto le competenze avanzate e specializzate -necessarie per lo sviluppo di nuovi prodotti, servizi o processi- non vengono adeguatamente sfruttate.
Come diminuire il mismatch: un patto sociale che conviene a tutti
Come abbiamo visto ridurre il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è quindi cruciale per migliorare la salute economica di una società e la qualità della vita dei lavoratori. Il modo migliore per affrontare questa sfida è –come prima cosa- migliorare i sistemi di istruzione e formazione.
Questi sistemi dovrebbero essere strettamente allineati con le esigenze attuali e future del mercato del lavoro e quindi prevedere l’aggiornamento dei programmi di studio per incorporare le competenze tecniche e digitali richieste, oltre a competenze trasversali come il pensiero critico e la capacità di adattamento. La formazione continua e i programmi di riqualificazione inoltre possono aiutare i lavoratori in attività a rischio di automazione o in settori in declino a transitare verso settori in crescita.
Nella stessa direzione bisogna quindi incentivare l’allineamento tra industria e istruzione, creare partnership tra il settore privato, le istituzioni educative e i governi per facilitare un migliore allineamento tra le competenze insegnate e quelle richieste dalle aziende.
Gli incentivi, come sgravi fiscali per le aziende che investono in formazione e tirocini, possono promuovere la creazione di opportunità di apprendimento pratico. Anche incoraggiare lo sviluppo di programmi di apprendistato e di tirocinio può fornire agli studenti esperienze lavorative reali, migliorando sia la loro occupabilità sia la rilevanza delle competenze acquisite.
Implementare queste strategie richiede insomma un approccio coordinato che coinvolga stakeholder di diversi settori (scuole, amministrazioni, privati): solo attraverso una collaborazione più stretta e coesa è possibile costruire un mercato del lavoro più dinamico e inclusivo, che meglio si adatta alle rapide evoluzioni tecnologiche e alle mutevoli esigenze economiche.
Queste conseguenze sottolineano l’importanza di strategie efficaci per l’istruzione, la formazione e il ricollocamento professionale, nonché per l’aggiornamento continuo delle competenze della forza lavoro, al fine di ridurre il mismatch e favorire una crescita economica sostenibile e inclusiva.
Offerte di lavoro: dal ramo commerciale agli impeghi professionali
Secondo il “bollettino” di Unioncamere già citato, la domanda inevasa è più alta nel comparto dell’industria, in particolare per quanto riguarda gli operai specializzati. Anche il ramo commerciale, come avevamo visto in questo approfondimento, fatica molto nel praticare un ricambio generazionale non più rimandabile. Verso il settore commerciale del resto sopravvivono molti pregiudizi, ma le ragioni per le quali i giovani dovrebbero provare questa strada sono molteplici; abbiamo provate a ordinarle nell’intervista a un recruiter di Pagine Sì! che puoi leggere cliccando qui.
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